28/08/2024
ITALIAN
Article: Reflections
Richard Lee Peragine
Case abbandonate ai piedi del monte Plješevica. Peragine, 2023
La violenza semplificatoria del termine superamento richiede maggiore attenzione. Si tratta allora di concentrarsi sulle implicazioni del concetto di superamento, in particolare rispetto al progetto dello spazio e dunque al progetto politico che ne conseguono. Lungi dall’essere un caso isolato, il superamento della Pista risponde al percorso di intensificazione, ormai decennale, dell’apparato securitario e dei meccanismi di controllo dei confini dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. In questo senso, possiamo iscrivere il progetto di superamento degli insediamenti abusivi nella pian agricola del foggiano all’interno del quadro più ampio del progetto di gestione delle migrazioni; geografia di punta del quale è la cosiddetta Rotta Balcanica.
La Rotta fa riferimento ad un contesto storico e geografico complesso. Il confine fra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, il settore in cui il cantone nordoccidentale dell’Una-Sana in Bosnia e le contee centrali della Croazia si incontrano, è uno dei nodi principali che formano la Rotta; una regione storicamente definita, non senza ambiguità, “krajina”, ovvero “frontiera”. È importante sottolineare, contro una tendenza alla de-contestualizzazione, come la gestione delle migrazioni nella krajina oggi sia parte di un progetto biopolitico di più lunga durata, scatenato attraverso la guerra degli anni ‘90: quello della transizione dal socialismo jugoslavo alla democrazia liberale. Il migration management della Rotta Balcanica costituisce, in altre parole, una forma di governo o di governance che acuisce le complessità della Bosnia post-socialista e, in modo particolare, della krajina bosniaca.
Dom Penzionera, una casa di riposo lasciata incompiuta durante il periodo pre-bellico, è dapprima stata utilizzata da persone migranti ed è poi, per via di questa occupazione, stata vuotata nuovamente, ma anche transennata e pattugliata. Peragine, 2023
Mine, bombe a grappolo ed altri residuati bellici esplosivi nei pressi di Veliko Očijevo. Peragine, 2022.
A quasi trent’anni dalla fine del conflitto militare, questa transizione sembra ancora lontana dall’essere portata a compimento; il superamento delle condizioni precedenti alla pace, che la transizione si pone come obiettivo, è anzi sistematicamente contraddetto. Vi sono quindi elementi del progetto del vuoto che possono aiutarci ad esporre l’ambiguità e i presupposti del progetto di superamento? Ma in che modo la krajina bosniaca risponde alle specificità spaziali della Pista? Solo marginalmente, infatti, possiamo riferirci ai cosiddetti “makeshift camps”, campi provvisori e improvvisati, o sugli insediamenti informali—Helicopter Place o il parco cittadino di Velika Kladuša, una Kashmiri house vicino a Lipa, la Krajinametal, un campo come il Polje: la struttura e temporalità della gestione delle migrazioni non permette paragoni frettolosi.
Casa sbarrata in seguito ad un’occupazione nei pressi di Bosanska Bojna. Peragine, 2023.
Ma emerge un altro carattere del progetto del vuoto che ci permette di elaborare alcune contraddizioni del progetto di superamento in Bosnia, e, di rimando nel foggiano. Ovvero, se la gestione delle migrazioni è parte del progetto biopolitico più-che-umano della transizione, il superamento acquista anche un’altra dimensione, legata alle politiche di espansione del progetto europeo. L’integrazione nella UE è, in questo senso, superamento: l’integrazione nell’ordine della democrazia liberale europea, nella narrativa della Transizione, implica che i Balcani Occidentali—ovvero i sei paesi formalmente candidati; la Bosnia da molto poco—si lascino alle spalle la loro arretratezza balcanica, l’odio atavico e tribale che avrebbe causato la guerra, il comunismo dittatoriale, per andare verso la maturità democratica e pacifica. La narrativa della Transizione—a cui dobbiamo concedere ora una T maiuscola—è in questo senso razzista, teleologica ed escatologica. In Bosnia, paese a maggioranza musulmana, questo discorso viene applicato, come ha da poco intimato il ministro Piantedosi, per giustificare un inasprimento dei controlli al confine quale lotta alla minaccia del terrorismo islamico. In questo contesto, la Transizione assegna ed essenzializza le identità di popoli costituenti (Serbi, Croati e Bosgnacchi); rinvia da quasi trent’anni una promessa di salvezza, giustificando nel mentre l’indebitamento monetario; funge da laboratorio della governance extraterritoriale euro-atlantica; induce il governo ad accettare l’esternalizzazione delle frontiere in cambio di un avanzamento del processo di integrazione.
Quello di transizione in verità contiene in sé il concetto stesso di superamento. Al contrario della nozione di trasformazione, che allude ad uno stato già completato di un processo o periodo, il termine transizione indica un processo, un periodo di cambiamento da uno stato all’altro—indica quindi una durata e un atto ancora da realizzarsi. Transitare, paradossalmente, è un verbo intransitivo che significa essere di transito, di passaggio. Se ci atteniamo a una interpretazione della dialettica hegeliana riduttiva, che la modernità occidentale, e il paradigma liberale capitalistico, ha incorporato appieno nelle nozioni di progresso, libertà e unione, una transizione non può che muoversi verso un momento successivo che, in questa concezione della storia lineare e teleologica, costituisce una fase migliore, superando la negatività per raggiungere una completezza o totalità. Attraverso un apparato concettuale e un discorso su questa temporaneità come momento circoscritto di cambiamento, la Bosnia nella Transizione, e con essa gli altri paesi dei Balcani Occidentali, è di fatto pilotata da un “prima” cattivo ad un “dopo” buono, posti come stadi progressivi ed antitetici della storia. La negatività dell’insediamento abusivo, così da PNRR, rimane da superare per costituire una comunità inclusiva, unita e sostenibile. Il concetto di transizione nel contesto dei Balcani, in questo modo, ben si applica anche alla cosiddetta “transizione verde” o “ecologica” e può forse fornire qualche elemento per pensare, criticamente, il presupposto che si annida nella retorica liberale dei Piani Urbani Integrati, oltreché le implicazioni del concetto di superamento, al di là del suo carattere storicamente e geograficamente situato.
Indubbiamente la rotta balcanica in Bosnia presenta delle specificità che per essere comparate alla Puglia richiederebbero molta attenzione—talmente diverse, anzi, che forse non risulta possibile farlo. Ciò non esclude però l’esistenza di migrazioni interne o di ritorno che ci permettano di considerare insieme questi due contesti. Storie personali di migrazione forzata in questo senso gettano luce sul modo in cui il lavoro—stagionale, migrante, schiavistico—traccia traiettorie di impiego fra Bosnia e le enclavi agro-industriali del foggiano. Possiamo dire che lo sfruttamento nel comparto agro-industriale, in quanto carattere strutturale della società capitalistica, in certa misura, concorre ad influenzare la gestione delle migrazioni e quindi a muovere la rotta stessa. Ciò che unisce queste due geografie è allora lo sfruttamento, o l’iscrizione delle persone migranti nel sistema di produzione, quale elemento chiave per la regolazione del mercato globale del lavoro. La gestione dei confini, in quanto esclusione inclusiva di forza-lavoro a bassissimo costo e complesso tecno-industriale di accumulazione, di fatto risponde perfettamente alla logica del capitale. Ciò che però accomuna il progetto di gestione delle migrazioni in Bosnia quale frontiera esternalizzata dell’UE e il progetto di gestione dello sfruttamento in agricoltura in Italia è il presupposto che si possa superare gli insediamenti informali senza intaccare le strutture economiche, e perciò politiche, che ne regolano la formazione. E che una volta superati, non si ripresenteranno. E di gestione si tratta, in quanto, a differenza della retorica sul contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo—"la mela marcia”—quest’ultimo è già iscritto nella logica di estrazione di valore, lungo tutta la filiera dell’industria agroalimentare: è strutturale.
Non a caso, entrambe sono, inoltre, questione di progetto, la cui nozione implica costitutivamente la transizione quanto il superamento: i Piani Urbani Integrati si presentano come una produzione puramente pianificabile; una realizzazione che trasforma una situazione politica esistente apparentemente migliorandola attraverso la sola modificazione spaziale. In questa prospettiva rovesciata, superare gli insediamenti abusivi (effetto) supererà lo sfruttamento (causa), insieme alle sue accidentalità “marce” (la criminalità). La Pista ci richiede, al contrario, di scardinare i presupposti violenti e semplificatori del superamento e del progetto, e, in altra misura, della transizione. In che modo, allora, il vuoto, così come si presenta nella sua relazione al potere nella krajina bosniaca, può fornire elementi alla critica del progetto di superamento? Il monte Plješevica e Lipa sono alcuni fra gli ambienti con la più alta biodiversità in Europa; Dom Penzionera e altri edifici sono stati usati come rifugio e spazio di resistenza nel contesto delle migrazioni, intersecando le storie di altre lotte locali; i residuati bellici esplosivi hanno preservato contesti ambientali da ulteriore sviluppo urbano. Il vuoto, al di là di ogni appropriazione, si pone come intrattabile: come resistenza al progetto moderno che pone lo spazio come vuoto—è questo spazio in rovina e in abbandono, con le sue specificità ecologiche e di utilizzo che muove una critica della pretesa metafisica del potere, così come alla sua linearità dialettica.
Si può porre, in campo architettonico e progettuale, ma anche politico, la necessità di partire dal vuoto—spazio concreto negativo, assenza di una presenza e presenza di un’assenza, ma anche mancanza di una fondazione, anarchia—concettualmente quanto concretamente. Il superamento degli insediamenti abusivi sviluppato attraverso un progetto spaziale—trasferire in maniera coatta migliaia di persone da un ambito “informale” ad un contesto costruito, isolato e in rovina, appunto, come le ex-borgate fasciste; così come in Bosnia vengono trasferite in Temporary Reception Centres—presuppone che il suo presupposto politico-economico vada bene, lasciando inalterato i suoi presupposti e il suo funzionamento strutturale. La “terra di nessuno” della Pista può essere trasferita in un altro spazio vuoto e appropriabile. L’obiettivo di superare gli insediamenti informali come contrasto allo sfruttamento si palesa quindi come legittimazione delle logiche di accumulazione capitalistica che determinano lo sfruttamento stesso. Il superamento cambia la forma ad una logica che rimane inalterata. I Piani Urbani Integrati tentano di dare soluzione spaziale ad un effetto, anziché metterne in dubbio le cause strutturali, cioè che il comparto agro-industriale nei modi di produzione di oggi non possono fare a meno dello sfruttamento e della figura del migrante operaio razzializzato. Partire dal vuoto, dall’assenza di un comando originario e di un fine del progetto, architettonico e politico, vuol dire mettere in dubbio il concetto stesso di superamento; il potere soluzionista del professionalismo tecnico quanto la teleologia del progresso. Non si tratta allora di interrogare l’urgenza di una operazione che “superi”, cancelli, questo tipo di insediamento, quanto le condizioni per cui la Pista effettivamente venga a formarsi. Ed è questo che i Piani Urbani Integrati del PNRR non fanno.
Footnotes
Keywords: Superamento; Bosnia; Vuoto; Progetto; Transizione
Period: June 2024
Project: PhD dissertation, Politecnico di Torino: “The Project of Emptiness. Sovereignty, the weaponization of space and architecture in the Bosnian krajina” (2024); Camp Form(s)
Inappropriable is a research, a collective investigation and a condition of possibility which sets out to interrogate practices of inhabitation, infrastructures of life, of marronage and fugitive worldling, focusing on labour ecologies in territories of migration: frontiers where bodies, spaces and labour are reconfigured through extractive and plantation-like capitalist processes of accumulation, dispossession and exclusion.